Capello (ANSA)
Il problema del calcio italiano? La morte del “calcio all’italiana”. Questo il paradosso che sembra aver individuato uno dei più grandi allenatori della nostra storia, Fabio Capello. Un tecnico che ha vinto ovunque abbia allenato, dal Milan al Real Madrid, passando per la Roma, e che ha fatto della concretezza il suo marchio di fabbrica. Non che abbia sempre rinunciato al gioco, ma nel suo mirino c’è sempre stato soprattutto il risultato, da ottenere con ordine e disciplina. Caratteristiche che il calcio italiano sembra aver dimenticato.
Le dichiarazioni del tecnico friulano sono cariche di saggezza, senza tempo, e analizzano fino in fondo una situazione obiettivamente al limite del dramma per il nostro calcio. Un calcio che non produce più veri talenti, che fatica a imporsi a livello europeo e che ha portato negli ultimi undici anni solamente una volta un’italiana a vincere una coppa, ovvero la Roma in Conference League.
Il problema, secondo Don Fabio, sta proprio nel gioco. Se prima sopperivamo alla mancanza di talento con l’acume tattico, oggi gli allenatori sembrano aver perso l’intuito e la concretezza di un tempo, badano all’estetica ma spesso non riescono né a essere belli, né a essere vincenti. Parole durissime seguite da una soluzione che è più semplice di quanto possa sembrare.
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“Ridateci il calcio all’italiana“, grida forte Capello sulle colonne del Corriere dello Sport. Un calcio che non era brutto o sbagliato. Era efficace, tremendamente concreto. Secondo l’ex tecnico del Real, è inutile tentare di imitare quello che Guardiola faceva quindici anni fa. Il modello cui bisogna ispirarsi è quello tedesco, quello che punta sulla verticalità e sul ritmo. Quel modello che ha portato lo stesso tecnico catalano a evolversi nei suoi anni al Bayern.
Sintetizza Capello: “L’ABC del calcio è recupero la palla, la butto davanti e ti faccio male“. Semplicissimo. Invece, noi lo abbiamo trasformato in un gioco in cui si tiene la palla per minuti e minuti nella propria metà campo, senza un vero filo logico, passando indietro invece che in avanti e dando la possibilità agli avversari di ricompattarsi.
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Non c’è più un dribbling in Italia, non c’è più nessuno spunto individuale. I calciatori sono deresponsabilizzati e non hanno nemmeno dei compiti e dei movimenti prestabiliti. Il nostro calcio è diventato lento, poco intenso e per nulla aggressivo. E in un contesto con una qualità media molto bassa, questa è risultata una vera mazzata per la competitività, nell’analisi dell’allenatore.
Una situazione davvero difficile, resa ancora più complessa dal fatto che i tecnici bravi, oggi, non vengono più da noi, e senza il confronto non c’è possibilità di miglioramento. Siamo rimasti indietro e indietro sembriamo destinati a rimanere se non dovesse cambiare qualcosa. Ma va cambiato subito, per non rischiare di assistere ancora figure amare in campo europeo e a debacle clamorose come quella Mondiale.
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